Il crudo è pericoloso. Se preparato con materia prima non controllata lo è molto, ma molto, di più. Come già visto recentemente su Medical Facts, questo vale per il pesce e per le uova. Vale, però, anche per la carne: soprattutto se proveniente da animali selvatici.
Ci sono malattie infettive, oggi molto rare, che fino a qualche decennio fa erano molto più diffuse. Questo vale soprattutto per le infezioni trasmesse attraverso il cibo. Una migliore comprensione della fisiologia dei microrganismi che le causano ha portato a un migliore ed efficace controllo della loro diffusione. È questo il caso della trichinellosi (anche nota come trichinosi), un’infestazione causata da un piccolissimo verme appartenente al genere Trichinella, parassita di molti animali che, appunto per via alimentare, può arrivare a infestare anche l’uomo.
Un parassita poliedrico
La particolarità del ciclo di questo parassita è che può essere completato in diversi animali dalle caratteristiche molto differenti. In altre parole, i vermi diventano adulti e possono iniziare a produrre uova in ospiti molto diversi: soprattutto suini (sia domestici che selvatici, come i cinghiali), ma anche equini (anche la carne di cavallo è un potenziale vettore), roditori (topi e ratti), e predatori come volpi, lupi, orsi e cani. Anche predatori marini, come foche e trichechi, o uccelli possono essere colpiti, a conferma dell’estrema adattabilità del parassita.
Nell’intestino di ognuno di questi animali, come detto, i vermi adulti si sviluppano e iniziano a produrre uova da cui si sviluppano piccolissime larve che, attraverso i vasi sanguigni, si distribuiscono in tutto il corpo raggiungendo soprattutto i muscoli dove si incistano. Il ciclo riprende quando un altro animale, cibandosi delle carni di un ospite infestato, ingerisce le larve che si trasformano nei vermi adulti e… la giostra (leggasi il ciclo), ricomincia.
E l’uomo?
La giostra può ripartire anche nell’uomo se, ovviamente, si ciba di carni di animali infestati. La sequenza di eventi è la stessa: ingestione di larve incistate nella carne, sviluppo di vermi adulti nell’intestino, deposizione di uova e migrazione in tutto il corpo delle larve. I sintomi legati all’infestazione seguono proprio questa sequenza di eventi con iniziali sintomi gastrointestinali, seguiti da sintomi sistemici, ovvero che riguardano tutto l’organismo. I sintomi gastrointestinali si manifestano di solito entro 48 ore dall’ingestione di carne e sono caratterizzati da nausea, diarrea e vomito accompagnati da febbricola e un senso generale di malessere.
I sintomi generali più importanti insorgono dopo qualche settimana (di solito entro i due mesi), e possono essere rappresentati da febbre, dolori muscolari e articolari, mal di testa, tosse persistente, prurito e rigonfiamenti (edemi) della faccia e attorno agli occhi. Di solito questi sintomi durano da qualche settimana a qualche mese prima di scomparire. Nei casi più gravi possono, però, durare per molti mesi e, in quelli più sfortunati, in cui le larve raggiungono il cuore o in modo massiccio i polmoni, possono insorgere complicanze anche mortali.
Come evitare la trichinellosi
Fino a qualche decennio fa la principale fonte di contagio erano i maiali domestici che potevano entrare a contatto con il parassita in vari modi. Per esempio, se venivano date loro carcasse di animali infestati o se, per esempio, ingerivano i corpi di ratti morti. Oggi questo tipo di contagio in Italia è praticamente scomparso, grazie agli stretti controlli veterinari a livello della fase di allevamento e macellazione. L’attenzione deve però restare alta.
Il problema vero sono, infatti, gli animali selvatici (soprattuto, ma non solo, i cinghiali), o gli animali provenienti da altri Paesi. Chi in Italia va a caccia di cinghiali sa (o dovrebbe sapere), per esempio, che porzioni di diaframma (il muscolo che separa il torace dall’addome), di ogni animale abbattuto devono essere inviate per controlli veterinari prima del consumo. Questo è importate anche per il controllo della diffusione del parassita nei nostri boschi, che oggi è molto raro, ma che deve, comunque, essere tenuto sotto stretto controllo.
Controlli e cottura
In ogni caso, però, il rischio vero è collegato al consumo crudo o poco cotto della carne potenzialmente infestata.
Mi è stata regalata carne di cinghiale da un amico cacciatore o ne ho comprato un pezzo, ma non sono sicuro che siano stati effettuati tutti i controlli. Cosa posso fare per minimizzare il rischio?
Ecco alcuni suggerimenti fondamentali:
1. Cuocere la carne in modo che raggiunga una temperatura di almeno 71°C nella parte più spessa e che la mantenga per almeno tre minuti dopo la cottura. Evitare di assaggiarne pezzi durante la cottura. Questo è il modo più sicuro per annullare il rischio.
2. Pulire molto bene tutti gli strumenti usati per tagliare o tritare la carne.
3. La salatura, l’essiccamento o l’affumicatura NON garantiscono l’uccisone del parassita. In pratica: fare molta attenzione, per esempio, alle salsicce di cinghiale la cui carne deve provenire solo da animali in cui è stato eseguito il controllo per la Trichinella. Provate a chiederlo quando la comprate; se chi ve la vende glissa o, peggio, non ha idea di cosa state parlando, evitate di comprarla. Questo tipo di preparazioni sono la principale cause di trichinellosi nell’uomo nelle aree ad alta diffusione del parassita, come per esempio i Paesi dell’Est Europa.
4. Il congelamento NON garantisce la completa eliminazione del parassita nel caso di carne proveniente da animali selvatici.
La trichinellosi è una malattia molto poco diffusa in Italia e in Europa (224 casi totali nel 2017). Recenti studi hanno, però, dimostrato come il problema sia tutt’altro che scomparso. Questo è fondamentale saperlo. Solo uno sforzo congiunto, infatti, di controlli veterinari serrati e consapevolezza del potenziale rischio da parte di medici e, soprattutto, consumatori, potrà infatti permettere di continuare a limitarne la diffusione. Questo articolo è il segno dello sforzo di Medical Facts anche in questo campo.
Nicasio Mancini
Fonte: Medicalfacts.it